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domenica 21 agosto 2011

il rosario un mezzo non violento per proporre idee forti

Come ci insegna la cronaca di queste giorni, ma direi tutta la storia e come ci rimproverano molti la verità genera violenza. Molte buone idee sono naufragate nella storia (anche alcune intuizioni di Breivik insieme a molte idee deliranti erano giuste, perchè certo non si può costruire l'Europa solo sul potere attrattivo delle banconote, sarebbe anche un'offesa alla dignità dell'uomo e soprattutto non si può dire addio facilmente alla verità, altrimenti perde la sua ragion di essere anche il dialogo con il rischio di ricadere in una nuova forma di violenza). Il problema è che la verità è un valore obiettivo e quindi è un sè un fine, ma il problema è che la corretta azione nel portare avanti la verità non deve solo riguardare la verità stessa e cioè i fini, ma anche i mezzi per arrivare a quell'obiettivo, perchè la Dottrina sociale della Chiesa su questo punto si esprima chiaramente non è lecito perseguire un fine onesto con un mezzo illecito. Quindi giustizia e convenienza debbono riguardare non solo i fini, ma anche i mezzi. Ciò è molto difficile certo e non a caso il Vangelo dice di cercare di passare per la porta stretta e non per la porta larga che conduce alla perdizione (Mt, 713-14). Il rosario con la sua perfezione di ripetizioni litaniche unite alla meditazione partorisce quel Verbo che si impone soavemente conducendo alla accoglienza della verità. Convengo che nonostante tutto oggi il clima sociale si è indurito per cui è sempre più difficile superare quantomeno il generale scetticismo. Un altro sforzo auspicabile sarebbe quello di unire alla preghiera lo studio, magari di buoni e sicuri testi come quelli della Esd (editrice studio domenicano) dei domenicani, che hanno il carisma della Verità e soprattutto cercare la Verità in sè stessi per essere in grado di donarla agli altri e soprattutto, qui faccio un autocritica verso alcuni settori della Chiesa, compreso me stesso, che presi dal furore del possesso della verità trascurano il fatto che il metodo democratico (San Domenico lo aveva inventato nel medioevo, nella Chiesa ci siamo arrivati dopo quasi un millennio, ma si sà un fondatore, nobile di stirpe (e quindi già potenzialmente un leader) e di animo, grande sapiente e stratega che si accontentava di dormire solo pochi minuti al giorno, capace di risuscitare i morti etc., etc. non lo si trova tutti i giorni) presuppone che la verità nasca, primieramente, da un dialogo, soprattutto fra eguali. Preghiamo il padrone della messe perchè mandi operai nella sua messe (Lc. 10, 1-4)
Ecco qui un passo esplicativo di Don Roberto Rossi sulla missionarietà nella Chiesa, da http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.pax?mostra_id=

 La messe è molta... ogni discepolo è missionario
don Roberto Rossi  
XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/07/2004)
Vangelo: Lc 10,1-12 .17-20 (forma breve: Lc 10,1-9)   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 10,1-12.17-20)
Questa pagina di vangelo indica l'impegno primario di ogni discepolo. Egli con la propria vita e con la parola deve annunziare il regno di Dio. È il compito che Gesù ora affida.


Dopo questi fatti, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo ove egli stava per arrivare.
Disse loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe».


Il compito missionario non è affidato a una «élite», come poteva sembrare quando inviò i Dodici. Qui Gesù ne invia molti altri e si tratta di semplici discepoli. Ad essi affida un compito ben preciso: recarsi in ogni città o luogo dove egli stava per arrivare. L'indicazione dice che il discepolo deve preparare ovunque l'incontro della gente con Gesù. Il discepolo è, quindi, un precursore di Gesù, uno che sullo stile del Battista «prepara la strada al Signore che viene», pronto a farsi da parte appena i destinatari della sua missione si sono incontrati con Gesù. È lui che deve crescere, il discepolo deve diminuire.

Ci si può meravigliare che Gesù mandi tanti discepoli davanti a sé, e la meraviglia aumenta quando ci accorgiamo che, secondo lui, sono pochi gli operai. Dice infatti che la messe è molta ma gli operai sono pochi.

Di fronte al numero degli inviati e a questa osservazione di Gesù, ci sembra chiaro che qui si sovrapponga alla sua parola l'esperienza della prima comunità cristiana che annuncia ovunque nel mondo il messaggio di Gesù. Lo stesso numero degli inviati suggerisce questo senso di universalità. Se il numero Dodici degli apostoli richiama quello delle dodici tribù di Israele, il numero 72 secondo la Bibbia richiama le nazioni che ricoprono la terra. Qui si parla del messaggio che deve giungere a tutte le genti, di Gesù che deve giungere ovunque mediante l'annunzio dei suoi discepoli. I settantadue sono davvero pochi. Di qui la necessità di accogliere l'invito di Gesù a pregare il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe.

Queste parole dicono, innanzitutto, che Gesù si sente anche lui un mandato e che è il Padre che fa crescere la messe, cioè quel seme, la Parola di Dio, che egli, e ora i suoi discepoli, debbono seminare nel mondo. Il lavoro è molto, e Gesù non li manda senza indicare loro gli impegni del discepolo. Abbiamo appena udito un imperativo: Pregate, ne seguono altri nove.

"Andate! Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi"

Andate! Non come conquistatori, ma come agnelli. Suggestiva quest'immagine. Gesù vuole i suoi discepoli simili a sé, agnello muto di fronte a chi lo tosa; servo di Dio, non Signore nel suo ministero, pronto a donare la vita per gli altri. Agnelli, in mezzo ai pericoli e all'ostilità del mondo miti, pazienti, non violenti.

Non portate né borsa, né bisaccia e neppure i sandali. Luca scrive questo completando il quadro di povertà già delineato nell'invio dei Dodici

È logico che Gesù parli in immagini. Ma il senso del suo insegnamento è chiaro: l'inviato dev'essere povero; non ha beni di questo mondo da distribuire, ha un messaggio di salvezza da portare: l'annunzio del Vangelo urge, non le preoccupazioni materiali.

Non salutate nessuno per via. Bisogna fare in fretta quello che ci viene comandato. È l'annunzio che conta, ed è logico che anche quelli che si incontrano per strada sono destinatari dell'annuncio.

Dite: Pace a questa casa. Ecco ora un impegno solenne e positivo, che solo può compiere chi si presenta come un agnello. La pace è il dono messianico per eccellenza; Gesù l'ha già donata a qualcuno, soprattutto nel dono del perdono; e, nella sua passione, egli diventerà «la nostra pace», quando ci riconcilierà definitivamente con il Padre. La pace è il dono e il saluto privilegiato del Risorto. Dopo la sua risurrezione, salutare con il saluto della pace non è un continuare la pur sempre lodevole abitudine del tempo, ma significa comunicare e augurare la salvezza, la riconciliazione con Dio e tra gli uomini. Il discepolo è essenzialmente un portatore di pace, un costruttore di pace.

Rimanete in quella casa... Non girovagate di casa in casa. Il secondo imperativo vuole impedire che il discepolo dia l'impressione di essere un incostante o di ricercare comodità che non possono dargli i primi che l'hanno accolto. Eppure, sono questi i più degni di fare della loro casa, in quella città, il centro di diffusione del messaggio. Non possono essere privati di questo loro bene. Ed è con loro che si condivide anche il cibo.

Guarite gli ammalati. Accanto all'annuncio non deve mai mancare l'interesse per i più deboli. È il segno che l'annuncio è fatto per tutti, ed è un imitare il Maestro che in questo modo si avvicinava ai sofferenti.

Infine si affronta il tema del rifiuto di colui che porta la pace. Come già ha detto ai Dodici, anche qui Gesù comanda di scuotere la polvere dai piedi, ma si noti quello che dice di aggiungere: «Sappiate però che il regno di Dio è vicino». Il discepolo, dicendo ciò, mette tutti di fronte alle proprie responsabilità. È pericoloso rifiutare il messaggio. Lo dice subito Gesù, ricordando che anche lui non è sempre stato accolto.

"Chi ascolta voi, ascolta me. Chi disprezza voi, disprezza me
e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato"

Poi il testo parla del loro gioioso ritorno. Questa volta hanno avuto successo non tanto a livello umano ma perché "anche i demoni si sottomettono a noi quando pronunziamo il tuo nome". È Gesù che continua ad agire per mezzo dei suoi inviati; capiscono che la missione è possibile solo se non si perde la comunione con Gesù, se come inviati ci si comporta quali continuatori dell'opera di Gesù, sempre presente in mezzo ai suoi.

E Gesù quel giorno gioì con loro ed esclamò: «Ho visto Satana precipitare dal cielo come un fulmine». Questa è vera vittoria; questo è lo scopo di ogni annuncio: vincere la potenza del male

Gesù indica qual è la vera gioia: «... rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel cielo». (stralci dal commento di Mario Galizzi, Vangelo secondo Luca, LDC)

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